Urban art, pubblicità e neo-pop. Shepard Fairey in mostra a Roma

Shepard Fairey, Imperfect union, 2007

Cultura hip-hop, e underground, dal neo-situazionismo al post-punk. Siamo la generazione della “società dello spettacolo”, direbbe Guy Debord, dove il rapporto tra me e te è mediato dalle immagini provenienti dal bombardamento pubblicitario.

Shepard Fairey, Rise above cop HPM, 2006

Siamo anche la generazione che sa applicare al meglio la propria creatività nella grafica dai manifesti alle copertine dei dischi, dall’abbigliamento e la moda alle interfacce di internet. E l’arte non è da meno. Fondamentalmente è sempre lo specchio del proprio tempo. Quindi si dà inizio alle danze con l’Urban art. Ibridi di riecheggiamenti pop e neo surrealisti. Il mezzo? Bombolette spray, stikers, spillette, stancil, colori che non hanno alcune vie di mezzo: dal b/n puro di un urban artist come Bansky a colori che sembrano usciti da una pellicola Kodachrome. Ed il supporto? I muri delle città. Alla Mondo Bizzarro Gallery di Roma, galleria sempre in prima linea per quanto riguarda la street art e il pop surrealism, dal 29 gennaio al 23 febbraio saranno messi in mostra, per la prima volta in Italia, attaccati stavolta sui muri della galleria, i lavori dell’urban artist Shepard Fairey.

Shepard Fairey, TIME PERSON OF THE YEAR, 2008

Al pari dei più internazionali come Bansky o Invader, Shepard Fairey è entrato prepotentemente sulla scena underground nel 2008 quando creò il famoso poster per la campagna elettorale su Barack Obama. L’iconico ritratto HOPE ha fatto il giro del mondo diventando l’icona simbolo dei sostenitori del presidente americano. Immagine ripresa da organi ufficiali come la rivista Time che l’ha utilizzata come copertina per Person of the Year del 2008 e dall’Esquire Magazine nel febbraio 2009. Seguiranno i poster con di nuovo il presidente come protagonista con le scritte VOTE e CHANGE. Secondo il critico del New Yorker, Peter Schjeldahl, l’immagine creata da Fairey è l’illustrazione americana più efficace che sia stata mai creata a dispetto persino della famosa campagna americana  Uncle Sam Wants You. Ma chi è Fairey?

Shepard Fairey, Soup Can II, 2009

Nel 1984 debuttò sulla scena come grafico pubblicitario ma è nel 1989 che esplode nella cultura underground. Crea infatti Obey Giant ovvero la sticker campaign Andrè The Giant Has a Posse. E non sono mancate le denunce per violazione di copyright: il poster HOPE era basato su una fotografia protetta da copyright scattata nell’aprile 2006 da Mannie Garcia, su incarico della Associated Press (AP). Ma Obey, così ormai definito, non si è fermato. I suoi poster continuano ad invadere le strade cittadine e le gallerie più all’avanguardia. Spesso associato all’anima pop Andy Warhol, Shepard Fairey stesso afferma che “Uno dei motivi per cui mi piace la street art è che consente alla gente di confrontarsi con il concetto di “arte”.

Shepard Fairey, Make art not war, 1989

La rende popolare, un po’ come fece Andy Warhol. Così l’arte non è più confinata nei luoghi “adatti” ma è sotto gli occhi di tutti, e tutti possono dare la loro opinione” . Se entrambi, Shepard e Warhol,  utilizzano il medium pubblicitario come “più grande forma d’arte del ventesimo secolo” (Marshall McLuhan) l’uno agisce con una consapevolezza e una “dimistichezza” tale del mezzo comunicativo lontano anni luce dall’azione invece intellettuale sperimentale e “sovversiva” del re del pop. Shepard agisce “a tutto tondo” a livello di comunicazione: fa nascere le etichette di abbigliamento OBEY, la rivista Swindle, la galleria Subliminal Projects e il film di Helen Stickler dal titolo Andre the Giant has a Posse (1995) fino a che nel gennaio 2009 HOPE è stato acquisito dalla National Portrait Gallery degli Stati Uniti per far  parte della sua collezione permanente.

Etichetta di abbigliamento OBEY

E se nemmeno le copertine dei volumi di 1984 e La fattoria degli animali di Orwell si sono sottratti alla grafica dell’urban artist è appropriato, quanto mai, per descrivere l’intento e la strategia comunicativa di Shepard, quello che affermava l’autore del “big brother”: la pubblicità è il rumore di un bastone in un secchio di rifiuti.




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