Roma: La luce “graffia” la fotografia di Sergio Fasciani
E’ bene ricordare che il critico John Berger in Sul guardare fu il primo a porre l’attenzione totale sullo “sguardo”. Quest’ultimo cambia sempre, non è mai uguale o identico ad un istante precedente. Se osserviamo una vetrina di un negozio, un animale i uno zoo, un passante per strada. Il nostro sgurado è sempre differente: le nostre esperienze visive sono sempre più universali delle circostanze.
Sul tema del guardare, del rapporto dello sguardo con il tempo e lo spazio, la fisica quantistica, la relatività, si interroga il fotografo Sergio Fasciani. Alla Galleria Doozo di Roma, dopo la mostra di Michele Corleone sul Giappone contemporaneo, dal 7 aprile al 5 giugno presenterà il lavoro che l’ha coinvolto dal 1995 con la creazione di Vittorio Pilenga e dalla compagna Zoe lo Zoe Spazio Arte a S.Lorenzo, un posto dove si incontravano artisti, musicisti, regististi: Fotograffiti 1996-2008. E se Man Ray creava le sue immagini fotografiche tramite le rayografie, in cui la carta sensibile viene impressa appoggiando direttamente gli oggetti sull’emulsione realizzando immagini fotografiche senza usare il classico “clic” dell’apparecchio fotografico, qui Sergio Fasciani crea fotografie utilizzando dei veri e propri graffiti di luce.
Ritratti fotografici di artisti operanti nella scuola romana che sono stati chiamati collettivamente a scrivere, disegnare, al buio tramite una lampadina tascabile e solo successivamente il volto è stato illuminato per essere impresso nella carta fotografica. La tecnica richiede ore di esposizione Quando si fotografano i monumenti di notte spesso si lascia l’obiettivo aperto perché serve un tempo lungo di esposizione, perché c’è poca luce. Questo obiettivo aperto fa sì che tutte le fonti luminose che attraversano il campo inquadrato lasciano una scia. Come i fari delle macchine che passano […] Io lascio l’obiettivo aperto, loro disegnano con la luce della lampadina e la cosa interessante è che mentre si guardano le fotografie compiute, stampate, non si riesce a individuare il tempo che è stato realmente necessario per realizzare l’opera. Probabilmente si potrebbe pensare che ci sono voluti tre o cinque secondi, ma in realtà alcune hanno richiesto anche tre ore (Sergio Fasciani).
Il tempo e lo spazio si uniscono tramite un fenomeno essenzialmente chimico. La luce che viaggia nello spazio ad una velocità tale che permette praticamente al tempo di fermarsi crea in questo modo fotografie che sono l’immagine di quel determinato momento. Sergio Fasciani, tra la coscienza e l’incoscienza, come il protagonista di Requiem di Tabucchi che torna nel suo reale onirico ad osservare per l’ennesima volta un’opera di Bruegel per cercarne ossessivamente di carpirne con lo sguardo ogni singolo dettaglio perchè, appunto, lo sguardo cambia sempre. In questi non-luoghi e non-spazi si muovono prima nel buoio totale e poi nella luce artisti come il fotografo-ritrattista Claudio Abate, l’artista dalla pittura dai fondi monocromi Rossella Fumasoni, Paola Gandolfi, unica donna, nel gruppo storico degli Anacronisti, il nuovo simbolismo di Bruno Ceccobelli, l’eleganza e l’ordine cromatico di Marco Tirelli, e un grande artista le cui opere che vanno dalla poesia, dalla filosofia, passando per la narrative art e la performance: Piero Pizzicannella.
Sono riuniti tutti gli artisti romani degli anni ottanta con alcuni abbiamo lavorato di più. Come vedi alla foto di Pizzicannella manca la “A” ma dopo un po’ di volte, dopo un po’ di prove, abbiamo deciso di lasciarla così (Sergio Fasciani), senza dimenticare Paolo Canevari, Marco Colazzo, Gianni Dessì, Stefano Di Stasio, Nino Giammarco, Felice Levini, H.H. Lim, Giancarlo Limoni, Nunzio, Claudio Palmieri, Anna Paparatti, Claudia Peill, Oliviero Rainaldi, Barbara Salvucci, Sergio Sarra, Adrian Tranquilli, H. Robin Kennedy.
Il tempo invecchia in fretta, così ci ricorda Tabucchi, ma non per Fasciani. Qui forse si realizza quello che Roland Barthes ci aveva annunciato ovvero l’è stato dell’immagine fotografica.
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