Nam June Paik: la TV è “messa in scena” a Roma
Ricordate Marshall McLuhan e il suo celebre assioma “il medium è il messaggio”? Rinfrescatevi la memoria, perché mai predizione fu più azzeccata. Quanto è cambiata la nostra vita dopo l’avvento dei nuovi media ce lo dimostrano oggi i social network. Anche Papa Benedetto XVI ha preso atto della loro capacità comunicativa, ma anche condizionante e fuorviante, consigliando di farne un buon uso.
Ma cosa possiamo fare con la tecnologia? Erano i primi anni Sessanta quando, nel tentativo di darvi una risposta, Nam June Paik mosse i primi passi verso ciò che definiamo Video Arte. Oggi, all’artista coreano, figura chiave del movimento Fluxus e dell’arte contemporanea, l’Auditorium di Roma, dal 28 gennaio al 13 marzo 2011, dedica la quarta mostra della Fluxus Biennal, a cura di Achille Bonito Oliva, presentando al pubblico alcune delle sue più significative videoinstallazioni.
Uno dei momenti più importanti della cultura del nostro secolo è stato, indubbiamente, lo sviluppo della televisione e altrettanto indiscutibile sono i limiti e i pericoli insiti del mezzo; la forza della sua influenza sulla formazione delle coscienze e della cultura di massa. Nam June Paik è stato uno dei primi artisti a riconoscere l’enorme potenzialità dei media elettronici, ma invece di esserne fagocitato scelse di ampliarli e dilatarli nelle direzioni più straordinarie e inimmaginabili. E l’improvvisazione negli anni Sessanta era un evento fluxus. Insieme agli amici e i colleghi di allora, John Cage, Joseph Beuys, Wolf Vostell, la violoncellista Charlotte Moorman, fra gli altri, l’artista coreano diede vita a una “nuova conoscenza” che implicava liberazione, interazione, coinvolgimento.
Da esperto musicista, nei suoi lavori cominciò a introdurre la discontinuità, il ritmo, il “tempo”, producendo ciò che Achille Bonito Oliva ha definito “sospetti di opere”, dove molto è demandato alla sensibilità dello spettatore. Nello scorrere leggero e fugace dell’evento fluxus le sue opere cominciarono a fondere immagini, televisioni, strumenti musicali, oggetti vari, come Cage in Cage, tributo all’amico musicista John, in mostra all’Auditorium. Schermo e cornice la gabbia cattura il flusso delle immagini di un apparecchio televisivo: la mobilità come comunicazione, come forma di vita e come processo artistico è così diversa dalla fissità di un solo linguaggio. Tutto è fluxus. E Fluxus intendeva dare all’arte un rapporto con la vita.
Così, in un continuo dialogo fra Occidente e Oriente (Buddha), alle immagini omologanti e accerchianti del mezzo televisivo Nam June Paik sostituisce una tecnologia umanizzata; una tecnologia comunicativa. “Non domandarti cosa la tecnologia fa con te, affermò Kennedy, ma quello che tu puoi fare con la tecnologia”: senza ombra di dubbio Nam è riuscito a farne un buon uso.
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