Mangiafiori, sirene, fantasmi, allevatrici di occhi, zuccherini: arriva il “Suicide Surrealism” di Bafefit
Può una zolletta di zucchero non versare neanche una lacrima perchè sa che se lo farà si scioglierà? E allo stesso modo potrà scampare ad un terribile temporale? Un mondo fantastico, l’incipit di un racconto kafkiano dove però le metamorfosi sono annullate. Mangiafiori, sirene, fantasmi, allevatrici di occhi, amici immaginari e “novelli pollicini” che cercano di tornare a casa.
Non sono il cast del nuovo film di Tim Burton e neanche personaggi dei nostri più inquietanti sogni. Impressi con la china su antiche carte di fine Ottocento sono il mondo animato del giovane artista pugliese Bafefit, esponente di quello che viene recentemente definito Suicide Surrealism, una declinazione del più popolare Pop Surrealism, movimento nato al calare degli anni Settanta in California che presto si è espansa in America e in Europa.
Alla Mondo Bizzarro Gallery, dopo l’urban art di Obey, l’irriverenza di Max Papeschi, la street art romana di Hogre e l’arte del tatuaggio delle Sante Peccatrici, dal 9 al 21 aprile torna il Pop Surrealism con Bafefit che esporrà per la prima volta i suoi alter-ego, oltre 40 opere, più un progetto site specific “una piccola collezione delle passioni che ho” (Bafefit) dal titolo Bafefit deve morire, prima di approdare a maggio con una sua personale a Parigi. E se il Pop Surrealism riunisce sotto la sua gonnella “il feticismo per il corpo e per le merci” della Pop Art e “l’attitudine visionaria” del Surrealismo (Gianluca Marziali), il Suicide Surrealism racchiude l’effetto onirico surrealista dei protagonisti messi nella condizione in cui “l’unica via di scampo per loro è il suicidio” (Bafefit).
Così prendendo le mosse da Mark Ryden esponente del Pop Surrealism si arriva ad artisti come Bafefit o ai “tatuaggi su tela” di Ciou, che utilizzano come base per i loro lavori vecchie carte su cui disegnare a inchiostro creando un effetto sia dal punto di vista materico che contenutistico di “memento mori” tipica di una generazione post punk. Creature costrette a sanguinare, degne del romanzo post punk per eccellenza di Marco Philopat. Si muovono sulla carta quasi come fossero fermi immagini di una narrazione senza punteggiatura, come visioni dove il segno grafico produce inconsapevolmente l’assonanza con la scrittura. Il bianco e nero dei disegni di Bafefit si incastrano come se fossero essi stessi parte della scrittura che caratterizza i fogli antichi già scritti e riutilizzati.
Episodi della narrazione, brevi racconti, come ci preannunciano già i titoli Run away from home, The imaginary friend, Non nasceranno le farfalle, The wax child. Bafefiti che in Francia ha partecipato al volume Métamorphose en bord de Ciel, di Mathias Malzieu, insieme ad artisti come Nicoletta Ceccoli, Ciou e Benjamin Lacomb ha in corso l’illustrazione di tre racconti di prossima pubblicazione per la scrittrice pugliese Angela Leucci, e la pubblicazione in Inghilterra di un’illustrazione come cover del cd di Alex Kozobolis dal titolo Theme for an empty playground (tema per un parcogiochi vuoto). Tim Burton disse che “in un certo senso per me raccontare una storia è sempre una sorta di viaggio spirituale, dove però rimani te stesso, cresci, impari qualcosa e passi al livello successivo. È questo quello che conta per me”.
Per Bafefit i mostri delle sue storie raccontano viaggi per il puro e semplice senso di raccontarli. Non hanno effetto catartico, niente di freudiano, bensì convivono sul foglio come nell’artista. Forse un richiamo all’estetica Punk , in fondo siamo nell’era del ritorno del Punk, basti vedere la recente mostra a Villa Medici a Roma, ed in fondo Punk is dead but love survives, è il titolo di un’opera di Bafefit o una canzone dei Crass, gruppo punk rock inglese. “I veri sognatori non dormono mai”, diceva Edgar Allan Poe, come i punk della prima ora, quando ancora si sceglieva “da che parte del letto dormire” (Vivienne Westwood), quindi non ci meravigliamo di trovare sulla carta di Bafefit qualche personaggio dei nostri sogni o qualche noi stesso perfettamente ridimensionato.
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