Londra: in mostra gli inediti ritratti fotografici di Hoppé e Ida Kar
Non è dunque nello specchio che bisogna considerarsi. Uomini, guardatevi sulla carta. Sono parole di Henri Michaux che ben si applicano alla descrizione del “genere artistico” del ritratto. Ci sono fotografi che hanno trascorso gran parte della loro vita a catturare e rappresentare il volto, testimone nascosto, perfetto narratore di memorie.
Aveva espresso un pazzo desiderio: che potesse lui rimanere giovane, e il ritratto invecchiare; la sua bellezza restare intatta, e il viso dipinto sulla tela portare il peso delle sue passioni e dei suoi peccati. […] Pareva mostruoso persino pensarci. Oscar Wilde, ed in questo caso Dorian Gray, ci aiutano a comprendere il fascino del “riratto”, del volto. Non solo perchè, banalmente, gli occhi sono lo specchio dell’anima. E’ forse perchè con il ritratto si scopre un pò di chi si ha di fronte e questo aiuta a scoprire anche un pò più noi stessi. Si crea un legame tra il fotografo, il fotografato e ciò che produce l’immagine di quest’ultimo. Analisi ed autoanalisi. Fondamentalmente scoprire per comprendere. Richard Avedon e Irving Penn sono ricordati per esser stati i maestri del ritratto fotografico del nostro secolo. Ma non tutti sanno che uno dei più grandi fotografi ritrattisti della prima metà del XX secolo è Emil Otto Hoppé. Alla National Portrait Gallery di Londra dal 17 febbraio appare accessibile al pubblico, dopo ben 30 anni, l’opera del “grande maestro”, così definito da Cecil Beaton nel 1945.
Molto prima di Avedon e di Penn, londinese ma nato a Monaco, bancario con la passione per la fotografia nata grazie all’incontro con il fotografo J.C Warburg, celebre fino alla prima metà del XX secolo, ha avuto la sfortuna di cadere nell’ombra a causa di un fattore a-causale, direbbe Jung, ovvero nel 1954 vendette il suo lavoro per formare l’agenzia fotografica Dorien Leigh. Fin qui tutto bene quindi, dove stà la pecca? L’agenzia è stata organizzata per argomento piuttosto che per ordine di fotografo, così che ironicamente le sue immagini si sparsero nell’archivio seppellendo così per decenni gli scatti che vanno dal 1907 al 1939. Sono stati ri-scoperti e ri-catalogati solo nel 1994 dal curatore Graham Howe. Fotoincisioni di una modernità sconcertante. Ritratti di personaggi come George Bernard Shaw, Ezra Pound, Tilly Losch, Man Ray. Sguardi così acuti che contengono allo stesso tempo luce, espressione, esistenza, in una parola: carattere.
La sua passione era “sbirciare” dietro la facciata degli uomin e delle donne che incontrava. Così nel 1922 pubblicò Book of Fair Women, un catalogo di “tipologie femminili” suscitando polemiche estetico-etiche e dando il via alla sua ricerca sui “tipi” I had it in my mind to make a record of the various distinctive types which one used to see in London streets but which were rapidly vanishing as the result of changing conditions. I started on this pictorial chronicle by approaching any interesting “character”. Successivamente uscirà dallo studio fotografico per cimentarsi nell’immortalare la “comunità” londinese: senzatetto, campanari, cani, guardiani notturni, musicisti di strada. Sempre di ri-scoperte parliamo perché sempre alla National Portrait Gallery dal 10 marzo, a cura di Clare Freestone, Curatore Associato di Fotografia della suddetta galleria, sarà presente, dopo 50 anni, anche l’opera di una grande fotografa che stava rischiando di finire nel dimenticatoio: Ida Kar.
Donna che visse a contatto con le avanguardie, con i così detti bohemien, ritrasse tutti i più grandi artisti presenti nel dopoguerra tra Parigi e Londra, cogliendoli con definizione essenziale: Jean-Paul Sartre, Fernand Léger, Peggy Guggenheim, Gustav Metzger. Dotata di “sintesi dell’immagine” anche lei come Hoppé rivela, parafrasando Ludwig Wittgenstein, che l’immagine, ovvero il ritratto, rivela se stessa. Allora cogliamo lo sguardo di Yves Klein (ritratto esposto per la prima volta dopo il 1957), l’immagine quasi “underground” per l’epoca di Royston Ellis, un poeta ed amico di John Lennon che ha ispirato la canzone Paperback Writer, l’essere artista totale di Marc Chagall.
Dal 1954, ovvero dalla mostra alla Gallery One di Musgrave, e dal 1960 con la sua personale alla Whitechapel di Londra, questa è la prima mostra della fotografa russa che include materiale d’archivio inedito come lettere e portfoli di immagini scattate nel 1954 ad artisti come Patrick Heron, Peter Lanyon, Barbara Hepworth e Terry Frost. Una Bohemian Rhapsody di generi umani, ambienti artistici, fino a quando nel 1964 fotografò le celebrazioni per la rivoluzione a Cuba. Altro genere ma stesso stile. E se è vero che un volto non è soltanto un volto, ma un testimone nascosto dietro il suo aspetto; un aspetto che muta a causa delle testimonianze (Vincenzo Agnetti), Hoppé e Ida Kar, a loro modo, con il loro linguaggio, testimoniano il loro tempo: una Londra che racconta se stessa.
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