I Graffiti?! Non sono un crimine. Come? Ce lo spiega una mostra a Milano.
Il 16 marzo 2010 alla Morgan Library di New York sono state esposte undici lettere inedite di Salinger, in una di queste affermava “Perdonate l’opera d’arte”. Quale altra frase potrebbe esprimere meglio e appieno l’era della nostra arte contemporanea?
Immersi nell’ibrido e nella contaminazione dei linguaggi, nella “remediation”, come direbbero Bolter e Grusin, dove la pittura si unisce alla scultura che si unisce al video che si unisce alla fotografia che diventa tutt’uno con quella che viene chiamata genericamente “comunicazione”. L’arte invade lo spazio urbano, influenza le tecniche pubblicitarie e la moda. Parliamo delle tendenze artistiche “post-graffiti”, che muovono i primi passi nei risvolti delle avanguardie di primo Novecento, dagli happening degli anni Settanta: la Street Art, e il Graffiti Design. Dopo la grande collettiva a Los Angeles sulla Street Art, dopo le mostre su Hogre, Invader, Obey che hanno avuto luogo a Roma, a Milano dal 5 maggio al 20 maggio maggio alla Pavesi Fine Arts, sarà presente Fungo, tag del giovane writer che presenterà i suoi lavori su tela nella mostra dal titolo programmatico “Graffiti is not a crime”.
C’è da ribadirlo, se i graffiti non sono un crimine, l’arte va appunto, come ha detto Salinger, perdonata. Atti di vandalismo, così è stata definita per lungo tempo l’arte dei Graffiti nata a Filadelfia nei tardi anni Sessanta sui treni e si sviluppa in seguito a New York negli anni settanta fino a raggiungere una prima maturità stilistica a metà degli anni ottanta grazie alla realizzazione di Style Wars (documentario sui graffiti della metropolitana newyorchese) e del film Wild Style, il fenomeno graffiti si diffuse su scala mondiale, trovando in Europa un fertile terreno. Fungo, che come gli altri writers, si nasconde dietro una cortina di inchiostro, di cartoni spellati, cemento, schiuma refrattaria o vecchi giornali spiegazzati da riciclo, dirante il finissage del 26 maggio ha deciso di sostituire le tele vendute con altre eseguite appositamente per l’evento, l’ultima infatti verrà creata live.
I temi rappresentati sulle sue tele sono quelli della vita reale, “Le mie tele nascono spesso da un acuta osservazione della realtà e in questo caso sono stato attratto dai mutamenti di Milano nel periodo che precede le elezioni. In particolare sono rimasto affascinato dalle numerosissime affissioni di pubblicità dei partiti che inondano muri, cartelloni e mezzi pubblici, creando un gioco caotico di colori e strati cartacei molto interessanti” (Fungo). E così appare Milano, da “Milan Vote” ovvero l’invasione della città dei cartelloni delle campagne elettorali ad “After Election”, il post elezione, dove i cartelloni vengono abbandonati creando una sorta di stratificazione pubblicitaria.
Ma anche uno sguardo verso la nostra generazione, con “Golden Age”, “Cash Game”, “50% Off” e “Slot Machine”. Se infatti siamo la “generazione 1000 euro”, Fungo è uno di quei ragazzi “che fa parte di quelle generazioni che devono affacciarsi nel mondo del lavoro e dell’autonomia economica nel periodo che che viene contraddistinto da una profonda crisi.
Questa crisi economica sottolineata anche da un bombardamento mediatico, crea in me e credo in altri milioni di ragazzi miei coetanei, una profonda angoscia e sfiducia per il futuro. Ho dedicato alla crisi economica in se e a quello che la crisi e i suoi “protagonisti” suscitano in me una serie di tele” (Fungo). Ma anche la musica, presente in “Hot Sound” e “Mechanical Sound Waves”, il dramma del Giappone di “Japan 2011”, “Graffiti Chic”, tela dedicata alle quattro capitali della moda. Sembra che Fungo abbia preso alla lettera le parole di Salinger: “L’unica cosa che mi diverte è una corsa in metro, attraversando la città in una notte calda d’estate”. Sovversivo? No, forse rigenerante.
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