Bauhaus, segni grafici, essenzialità del colore. I disegni di Shlomith Haber-Schaim al Museo Ebraico di Bologna
“La prima delle nostre responsabilità sia quella di scrivere meglio possibile, il primo dovere che abbiamo è nei confronti del nostro talento di scrittori, il che significa cercare di descrivere la realtà così come la percepiamo”. Sono parole di Nadine Gordimer, scrittrice ebrea sudafricana Premio Nobel per la Letteratura nel 1991, che si possono ben applicare ai lavori di un’artista che espone per la prima volta in Italia, Shlomith Haber-Schaim.
Nata a Tel Aviv è cresciuta a Gerusalemme. Ha studiato alla Bezalel School of Art a Jerusalem con Ardon e alla School of the Art Institute di Chicago con Vighard, entrambi maestri formatisi alla Bauhaus. Espansioni, astrazioni concrete, utilizzo dei canoni della Bauhaus, centralità del colore, sperimentalismo formale, questi sono i dati principali dell’artista che è stata membro del comitato esecutivo degli Stampatori Boston, che organizza la Biennale del Nord America, così come altre mostre di incisioni sia nazionali che internazionali e che sarà presente con una sua personale dal titolo Prints and Drawings 1970>2011 al Museo Ebraico di Bologna dal 16 giugno al 17 luglio.
Si ripercorre tutto il suo lavori, dall’applicazione delle “massime” della Bauhaus per cui l’artista era dapprima un artigiano che come ad esempio Moholy-Nagy si dedicava anche alla lavorazione dei metalli e dei materiali sintetici, nonché della fotografia, Gerhad Marcks alla ceramica, Paul Klee alle vetrate e tessuti, Oskar Schlemmer alla scultura per cui, per qualsiasi artista, l’insegnamento della forma in quanto tale e in quanto struttura plastica era fondamentale. Shlomith Haber-Schaim fa suo tutto questo. Lo rielabora, ne prende consapevolezza come chiave di lettura del proprio tempo. La pittrice vissuta fino al 2005 a Boston ci pone come chiave di lettura una sorta di minimalismo della memoria come nelle opere Scope o Squiggles.
I lavori partono dalla tecnica dell’intaglio ad acquaforte dove il colore è fine a se stesso, catalizzatore emotivo, rappresentante essenziale della poetica del segno grafico. Non solo il colore di opere come Coexistence ma anche l’essenzialità del pensiero sedimentato altamente espressivo del segno grafico di Burston. Dall’acquaforte alla puntasecca fino alla grafite e gesso su pergamena dei disegni realizzati nel 1984 per le antiche mura di Gerusalemme, quando Shlomith Haber-Schaim era artista ospite presso la Mishkenot Sha’ananim della città di Gerusalemme, nei quali ha studiato e mostrato gli effetti della luce sulle mura al mattino presto e nel tardo pomeriggio.
Essenzialità che si legge nel dettaglio, “Notwithstanding her stance against interpretation and mimesis, the prints are full of expression and vigor, leading the viewer to an immediate identification of sensitive constructions, of forceful landscapes, of dramatic inside spaces, of emotional compositions”, scrive Irena Gordon Curatrice del Jerusalem Print Workshop dal 2000. Altrettanto essenzialmente si può descrivere l’attività di Shlomith Haber-Schaim ovvero un’artista che descrive la realtà come la percepisce.
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