Anoressia, finalmente il gotha del giornalismo di moda si interroga e promuove il dibattito
In Italia circa 3 milioni di persone, pari al 5% della popolazione, soffre di disturbi del comportamento alimentare (DCA): il 95% sono donne, anche se sempre più numerosi sono gli uomini che manifestano questi sintomi e si rivolgono a strutture specializzate. L’età di insorgenza di queste patologie si colloca prevalentemente tra i 12 e i 25 anni: l’8-10% delle ragazze e l’0,5-1% dei ragazzi soffre di anoressia-bulimia e, in questa fascia di età, i DCA rappresentano la prima causa di morte.
Come incipit ho scelto quello più crudo e oggettivo possibile, tratto da una ricerca promossa dall’ ABA , l’Associazione per lo studio e la ricerca sull’anoressia, la bulimia e i disordini alimentari che opera da 20 anni in 14 città italiane. I dati sono quelli Istat e SISDCA. C’è da fare subito un’ulteriore premessa per sgombrare il campo da facili conclusioni (che leggo su altri media), i DCA non sono, semplici “malattie dell’appetito” o“patologie da imitazione” di modelli inappropriati ma rappresentano sintomi di problematiche con implicazioni psicologiche e/o psichiatriche. Il sintomo nelle sue diverse forme è sempre frutto di una storia soggettiva, è uno strumento che la persona utilizza per gestire tematiche angoscianti. Si tratta di un’ ‘auto-cura’, certamente illusoria con effetti devastanti sulla mente e sul corpo; una soluzione che la persona ha trovato come unica via per gestire difficoltà esistenziali o per riempire il proprio vuoto interiore.
Allora tutti assolti? Parlo dei Media in generale. Ovviamente no. Molti ragazzi e ragazze, nati e cresciuti in paesi non occidentali, sviluppano a contatto con la nostra società un disturbo alimentare, come espressione di una difficoltà soggettiva di crescita e di integrazione. “Integrazione” una parola che mi fa riflettere, se penso che in una società come la nostra, dove si persegue il benessere ed il confort, ci siano problemi di integrazione. Forse parliamo di integrazione razziale? Invece no. Parliamo di Integrazione sociale, che riguarda i giovani e i giovanissimi e non solo.
Queste patologie hanno pertanto in comune fattori di rischio modificabili e di diffusione fortemente influenzata e condizionata dal contesto sociale, dai condizionamenti del mercato e dalle politiche commerciali, oltre che dai comportamenti individuali. A tale riguardo va riconosciuta l’importanza e la delicatezza del lavoro dei comunicatori (Stampa, Tv, Radio, Pubblicità) in questo campo. Le informazioni, i contenuti, le immagini che riguardano i disturbi alimentari e dell’immagine corporea, veicolati attraverso i mezzi di comunicazione on e off line rappresentano un fattore in grado di influenzare il contesto sociale, e di conseguenza, anche i comportamenti individuali. Si tratta di un fattore di rischio, ovvero un fattore in grado di aumentare la probabilità che questa sindrome si verifichi e si moltiplichi, che può trasformarsi in un fattore protettivo e preventivo, in grado di influenzare in maniera positiva il sociale e, di conseguenza, anche i comportamenti individuali.
Chi vuole può approfondire anche cercando il Manifesto Nazionale di autoregolamentazione della Moda italiana contro l’anoressia del 22/12/2006 voluto dal Ministero per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive, Camera Nazionale della Moda Italiana , Alta Roma.
Le immagini sono potenti strumenti di comunicazione: in una società in cui si tende a ottimizzare il tempo le immagini vanno oltre e sono ben più potenti delle parole, trasmettono un’emozione in modo immediato. Esse infatti richiedono meno tempo di elaborazione rispetto a un testo scritto o ascoltato: anche chi non è coinvolto direttamente nella percezione del messaggio viene colpito dall’immagine in esso contenuta e si trova coinvolto nell’elaborazione di un significato. Le immagini da troppo tempo non cercano più di stupire ma tendono a scioccare, da qui i riferimenti al sesso sempre più esplicito e anche alla violenza.
Ma anche internet gioca la sua parte negativa. Internet è un potente strumento di comunicazione altamente fruibile, il risultato ottenuto attraverso il suo uso dipende sempre da chi e da come viene utilizzato e se siete arrivati a leggere fin qui, siete utenti fedeli della rete. Esiste un fenomeno inquietante sulla rete. Il caso dei numerosi blog pro-Ana (pro-anoressia) e pro-Mia (pro-bulimia) ragazze giovanissime affette da disturbi alimentari si sostengono reciprocamente condividendo regole, consigli e trucchi su come ridurre la quantità di calorie ingerite e nascondere il proprio deperimento. Gli adolescenti sono i primi ad essere attratti da questi siti in quanto possono ritrovarvi le proprie difficoltà e utilizzare la realtà virtuale per essere accolti secondo una modalità non giudicante. Non avendo ancora strutturato strumenti critici per far fronte ai messaggi veicolati all’interno dei blog e non cogliendone la drammaticità e la pericolosità, possono trovarsi a condividere una filosofia di vita autodistruttiva. Consegnare nelle mani di questo segmento più fragile della nostra società le chiavi per raggiungere facilmente questi blog, o spiegare nel dettaglio cosa essi contengono può rappresentare un modo per rinforzare l’idea che anoressia e bulimia siano forme di innalzamento spirituale.
Cito dal blog della collega direttrice di Vogue Italia, Franca Sozzani, i dati aghiaccianti di un a ricerca, pubblicata sull’American Journal of Public Health, che ha trovato nei diari pro-ana una miniera di pericoli di facile accesso a chiunque si colleghi a internet: l’80% dei siti pro-ana è dotato di applicazioni interattive (come i contatori di calorie), l’85% pubblica foto di donne scheletriche a cui ispirarsi (chiamati thinspiration), l’83% dà consigli per dimagrire velocemente e su come impegnarsi nell’obiettivo di avere il totale controllo del proprio corpo per arrivare a 45 chili o meno.
Ovviamente questo non è tollerabile da chi opera nel mondo dell’informazione e quindi è , a parer mio, da sostenere la crociata promossa dalla collega e dalla fondatrice di ABA, Fabiola de Clerq, far chiudere questi siti, e vietarli per legge.
Ma non fermiamoci a questo, a solo enunciazione di principi. Portiamo nei nostri magazine, la consapevolezza che abbiamo una responsabilità importante. Il contributo di chi fa comunicazione in modo professionale, delle testate giornalistiche come Modeyes, può essere prezioso. Veicolare messaggi più adeguati attraverso una vera e propria comunicazione sociale responsabile. In questo modo i fattori di rischio e la probabilità di diffusione della malattia possono essere trasformati in fattori preventivi che contribuiscano realmente a ridurre un problema di rilevanza sociale.
E a chi vive questo disagio, diciamo di non vergognarsi, di parlarne di scrivere, commentare, domandare, confidarsi , anche a noi di Modeyes, per poter fare il primo passo verso la guarigione e la salute.
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