A Londra arriva l'”Infinito fotografico” di Thomas Struth
Quante volte ci siamo scoperti meravigliati di fronte a un’opera d’arte? Che essa fosse all’interno di un museo, in una chiesa o semplicemente il primo grattacielo che vedevamo in una grande metropoli, poco importa. Il rapporto opera-spettatore è il nodo centrale. Cosa ci affascina? E perchè? Ad indagare tutto ciò c’è stato uno dei fotografi principali dell’epoca contemporanea.
Tedesco di nascita, Thomas Struth nel 1989 ha concentrato la sua ricerca fotografica sull’analisi dei visitatori di alcuni dei più grandi musei del mondo tra cui The Art Institute di Chicago, il Musée du Louvre di Parigi, l’Accademia di Venezia, e il Pantheon di Roma grazie anche al suo soggiorno in Italia, a Napoli e Roma dove alla fine degli anni ’80 dove si è “divertito” a fotografare i visitatori delle chiese.
Oggi, dal 6 luglio al 16 settembre, è presente con una grande mostra alla Whitechapel Gallery di Londra che trae le somme del discorso artistico del fotografo ripercorrendo i suoi 30 anni di carriera: Thomas Struth: Photographs 1978-2010. Oltre 70 immagini, dalle prime in bianco e nero scattate tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 nelle strade deserte di città come Bruxelles, Düsseldorf, Edimburgo, Londra, Napoli, New York, Parigi e Roma.
Il fotografo che studiò dapprima dal 1973 al 1980 pittura Accademia di Düsseldorf con Peter Kleemann e Gerhard Richter solo più tardi si innamorò della fotografia entrando in contatto nel 1976 con i coniugi Bernd e Hilla Becher “la loro fotografia sistematica di architettura funzionalista, spesso organizzare le loro foto in griglie, li ha riconosciuti come artisti concettuali, così come i fotografi” (dalle motivazioni del Premio Hasselblad del 2004).
L’incontro sarà fondamentale poichè già nello stesso anno Struth partecipò ad una mostra degli studenti presso l’Accademia, dove mostrò una griglia composta di 49 fotografie scattate sulle strade di Düsseldorf, ognuna dei quali obbediva alla logica della simmetria centrale. La medesima logica rimane nella famosa serie del 1989 “Museum Photographs”, qui esposte: dai turisti che ammirano la statua del “David” di Michelangelo a Firenze, agli alunni che chiacchierando davanti a “Las Meninas” di Velazquez al Prado di Madrid dalle cattedrali gotiche al parco nazionale di Yosemite, California.
Non c’è però solo ricerca formale bensì anche e soprattutto sociale. Fondamentale è stato infatti nel 1980 l’incontro con lo psicoanalista Ingo Hartmann che sarà alla base del pensiero che accompagnerà tutte le sue opere successive ovvero l’analisi del comportamento umano. Da qui nasceranno i suoi ritratti di famiglia fino alla riflessione sulle capacità umane paragonando l’architettura alla scienza evidente nel suo lavoro con fotografie panoramiche su larga scala di siti di cantieri, di piattaforme petrolifere e di città tentacolari in Asia.
Le immagini più recenti sono dedicate da una parte al rapporto uomo/scienza come è evidente nei lavori sempre di grande formato su stituti di fisica, impianti farmaceutici, stazioni spaziali, impianti nucleari e in particolar modo nell’opera di 4 metri di larghezza dello “space shuttle” in fase di riparazione al Kennedy Space Center di Cape Canaveral, dall’altra tra il 1998 e il 2006 Struth ha iniziato a perlustrare il mondo della natura in particolare dell’emblema della stessa natura: la giungla in Giappone, Australia, Cina, America ed Europa, le cui prime immagini sono raccolte in Pictures from Paradise scattate nel 1998 nella foresta tropicale pluviale Daintree in Australia. “Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura”. Così recitava l'”Infinito” di Leopardi, quasi o stesso Infinito in chiave contemporanea che sembra ricercare spasmodicamente Thomas Struth.
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